Quando si parla di Crash Bandicoot, la domanda che molti fan si sono posti negli ultimi venticinque anni è sempre la stessa: come si realizza un seguito degno della trilogia originale? La risposta non è mai stata semplice e, osservando due diversi tentativi — uno di inizio anni 2000 e l’altro del 2020 — ci si accorge di quanto le condizioni di sviluppo e le scelte creative possano influenzare profondamente il risultato finale.

L’anima del Bandicoot

Il fascino di Crash Bandicoot sta in un equilibrio raro: piattaforme lineari e precise, un senso di sfida crescente e quel gusto “cartoon” esagerato che rende memorabili nemici e ambientazioni. Non è solo questione di saltare da una piattaforma all’altra, ma di farlo inseguendo il 100% di completamento: tutte le casse, i percorsi segreti, le reliquie a tempo. Una sfida che oscilla tra il frustrante e l’assuefacente, in perfetta sintonia con l’eredità dei platform anni ’90.

Due epoche, due Crash 4

All’inizio degli anni Duemila, dopo l’addio di Naughty Dog, il compito di proseguire la saga con il filone principale ricadde su Traveller’s Tales. Le circostanze non erano ideali: cambio di proprietà, fine dell’esclusività PlayStation, progetto iniziale cancellato e appena un anno per ricostruire tutto. Il risultato, Crash Bandicoot The Wrath Of Cortex (da noi L’ira di Cortex) fu un capitolo che cercava di emulare il successo di Warped, aggiungendo novità come le maschere Elementali e il personaggio di Crunch. Alcune idee avevano potenziale, ma il ritmo altalenante, i livelli a volte derivativi e certe sezioni alternative poco convincenti finirono per rendere l’esperienza più “sicura” che rivoluzionaria.

Vent’anni dopo, Crash Bandicoot 4: It’s About Time ha affrontato lo stesso compito con un approccio opposto: livelli più lunghi e complessi, uso massiccio delle maschere come meccaniche di gameplay, nuove varianti di personaggi giocabili e una difficoltà volutamente più alta. Il gioco ha puntato su un’evoluzione chiara della formula, premiando i giocatori più esperti e restituendo la sensazione di progressione naturale verso sfide sempre più impegnative.

Level design: imitazione o evoluzione?

Nel capitolo di inizio anni 2000, il design dei livelli alternava momenti riusciti a passaggi meno ispirati. Alcune ambientazioni — come il livello a tema medievale o quello ambientato nell’isola infuocata — catturavano lo spirito della saga, ma molte sezioni alternative (gare, missioni subacquee, combattimenti aerei) spezzavano il ritmo senza offrire una reale profondità.

Al contrario, It’s About Time ha preferito concentrarsi sul cuore del platforming, integrando le nuove meccaniche in modo organico. L’uso combinato delle maschere negli ultimi mondi è un esempio di come il level design possa crescere in complessità mantenendo coerenza con l’identità della serie. Il tutto con un occhio di riguardo per i completisti, eliminando parte delle frustrazioni storiche legate al backtracking.

Storia e personaggi

La narrativa non è mai stata il punto centrale della serie, nonostante l’uso massiccio di riferimenti, ma può fare la differenza nell’atmosfera. Il capitolo più vecchio riproponeva la struttura di Warped, con i villain che introducevano i mondi e poco più. Il capitolo più recente invece ha osato di più, arricchendo i personaggi storici e inserendo nuove figure giocabili come Tawna e Dingodile, mantenendo comunque il tono leggero e sopra le righe tipico del brand.

Il verdetto

Mettere a confronto i due capitoli non è una gara a chi sia “migliore”, ma un’analisi di due approcci opposti al concetto di sequel. Il primo rappresenta il tentativo di preservare la formula in condizioni difficili, con risultati altalenanti. Il secondo, forte di più tempo e risorse, ha scelto di spingere sull’innovazione, rischiando anche di spaccare la fanbase con la sua difficoltà e lunghezza dei livelli.

Se il Crash dei primi anni 2000 è oggi ricordato come un esperimento che non ha lasciato un segno indelebile, It’s About Time dimostra che il Bandicoot può ancora evolversi senza perdere la sua identità. E forse, per un personaggio nato per saltare ostacoli impossibili, questo è il complimento più grande.